Liaisons Dangereuses: Crisi migratoria, ONG e sicurezza privata

La gestione e il contenimento delle migrazioni dall’Africa subsahariana sono da molto tempo un cardine della politica estera e di difesa italiane. Dal 2013, l’enorme aumento dei flussi migratori e delle morti in mare ha reso la protezione dei confini marittimi, il contrasto ai trafficanti di uomini, e la conduzione di operazioni di ricerca e soccorso, o Search and Rescue (SAR), priorità assolute.

Il declino della pirateria al largo del corno d’Africa, avvenuto in parallelo all’aumento esponenziale dei flussi migratori attraverso il Mediterraneo, ha portato la gestione dei flussi migratori al centro del dibattito politico e accademico sulla sicurezza marittima. Non sorprende, quindi, che l’emergenza abbia coinvolto il mondo della sicurezza privata marittima italiana e internazionale, sia pure in modo finora indiretto e limitato. Questo articolo analizza il coinvolgimento del mondo della sicurezza privata nella gestione dei flussi migratori dalla Libia all’Italia.

Il 4 novembre di quest’anno, in un’intervista al Corriere della Sera, Erik Prince, controverso fondatore della compagnia di sicurezza privata Blackwater International, ha rinnovato l’invito a prendere in considerazione l’uso di contractor nell’addestramento di una milizia che impedisca ai migranti la possibilità di imbarcarsi per raggiungere l’Italia. Secondo Prince, un’operazione del genere permetterebbe di “bloccare il flusso di migranti nel modo più umano e professionale possibile”, a una frazione “di quello che l’Europa spende per intercettarli nel Mediterraneo”.

Già in passato, Prince aveva proposto l’uso di forze di sicurezza private o private security companies (PSCs) per addestrare la Guardia Costiera e la polizia di confine libiche. Anche se mai avvenuto su questa scala, un coinvolgimento di attori commerciali nella gestione dei flussi migratori verso l’Europa non sarebbe un fenomeno senza precedenti. L’Australia e il Regno Unito, ad esempio, hanno delegato la gestione di centri di accoglienza ed espulsione a compagnie di sicurezza privata, mentre i centri per richiedenti asilo creati dal governo australiano in stati confinanti come la Papua Nuova Guinea sono gestiti da aziende come G4S e Serco, che svolgono un ruolo altrettanto importante nella gestione dei centri per richiedenti asilo in Regno Unito. Il governo britannico ha anche esternalizzato la conduzione di operazioni di ricerca e soccorso a terra e in mare, assegnate a Bristow Helicopters.

L’invito di Prince all’Italia, tuttavia, è destinato con ogni probabilità a cadere nel vuoto. La tradizionale riluttanza italiana a privatizzare attività strettamente connesse alla protezione del territorio nazionale rende inverosimile la possibilità di un coinvolgimento diretto di contractor nella gestione dei flussi migratori. Il mondo della sicurezza privata italiana ha tuttavia svolto un ruolo significativo nella gestione della crisi migratoria e nelle controversie mediatiche, politiche e giudiziarie relative alla partecipazione di diverse organizzazioni non governative (ONG) nella conduzione di operazioni di ricerca e soccorso in mare.

Fin dall’operazione “Mare Nostrum”, le forze armate italiane si sono dedicate in prima persona alla gestione dell’emergenza. Lanciata nell’ottobre del 2013 allo scopo di coniugare la conduzione di operazioni SAR con la lotta ai trafficanti, essa ha permesso il salvataggio di almeno 150.000 migranti. L’assenza di solidarietà da parte dell’Unione Europea e il timore che la conduzione di operazioni di ricerca e soccorso potesse causare un aumento dei flussi migratori, portarono all’interruzione di “Mare Nostrum” nell’ottobre del 2014. Le operazioni europee “Triton” ed EUNAVFOR “Med”, lanciate rispettivamente nel novembre 2014 e nel giugno 2015, sono dedicate principalmente alla protezione dei confini meridionali dell’area Schengen e al contrasto ai trafficanti di uomini.

L’elevato numero di morti in mare e l’assenza di operazioni SAR su larga scala come “Mare Nostrum” ha portato diverse ONG a condurre missioni di salvataggio in mare. Come illustrato dalla figura 1, le ONG hanno svolto un ruolo di primo piano nella gestione della crisi, assistendo oltre 110.000 migranti dal 2015 a oggi. Nell’estate del 2016, dieci ONG hanno partecipato a operazioni SAR, schierando un totale di 12 navi al largo della Libia. È stata proprio la partecipazione delle ONG nelle operazioni di salvataggio in mare a consentire un limitato coinvolgimento delle aziende di sicurezza privata nella gestione della crisi libica.

Operazioni di ricerca e soccorso al largo della Libia dal 2014 a oggi. Fonte: Eugenio Cusumano.

 

La necessità di ospitare a bordo centinaia di migranti e la presenza di trafficanti e facilitatori pongono infatti alcuni rischi per il personale umanitario. Nell’agosto del 2017, ad esempio, una delle navi di Medici Senza Frontiere è stata vittima di un attacco armato. Da allora, tutte le organizzazioni coinvolte hanno rafforzato le misure di sicurezza a bordo. La maggior parte delle ONG si sono limitate a misure quali lo sviluppo di protocolli di sicurezza, l’installazione di sistemi di allarme e stanze del panico, e il rafforzamento della comunicazione con le navi militari partecipanti alle missioni EUNAVFOR “Med” e “Mare Sicuro”. Alcune organizzazioni, tuttavia, si sono anche avvalse della presenza di personale di sicurezza privata a bordo delle loro imbarcazioni. Save the Children, ad esempio, ha sottoscritto un contratto con la compagnia italiana di vigilanza IMI Security Services per la fornitura di personale di sicurezza non armato.

La collaborazione tra ONG e personale di vigilanza, tuttavia, si è rivelata complicata. Sono state infatti proprio le segnalazioni inviate dal personale di sicurezza a bordo della Vos Hestia, la nave di Save the Children, all’Agenzia informazioni e sicurezza esterna (AISE) e alla Procura di Trapani ad avviare le indagini contro Jugend Rettet, la ONG tedesca sospettata di favoreggiamento dell’immigrazione clandestina. Parte delle informazioni utilizzate per le indagini sono state raccolte da un agente di polizia che operava sotto copertura sulla Vos Hestia in qualità di contractor.

Save the Children’s search-and-rescue ship Vos Hestia leaves the port of Augusta on Wednesday September 7th.

Secondo il manager e tre guardie di IMI, anche la collaborazione con la stessa Save the Children è stata spesso caratterizzata da momenti di tensione. Da un lato, la maggiore collaborazione con la polizia italiana auspicata da IMI – come la segnalazione di persone sospette a bordo – cozza con i principi umanitari di neutralità, indipendenza e imparzialità rivendicati dal personale della ONG. Dall’altro, i legami tra IMI e l’organizzazione di estrema destra Defend Europe, rilevati da un’inchiesta di Famiglia Cristiana, rendono la posizione della compagnia di vigilanza privata particolarmente controversa. Defend Europe ha infatti condotto diverse operazioni in mare allo scopo di ostacolare l’operato delle ONG e mettere a nudo i loro presunti collegamenti coi trafficanti di uomini.

Un altro legame tra il mondo della sicurezza privata marittima e Defend Europe è rappresentato dall’imbarcazione C-Star, utilizzata da Defend Europe per monitorare le operazioni delle ONG nell’agosto di quest’anno. Prima di essere presa a nolo da Defend Europe, la C-Star era infatti utilizzata come arsenale galleggiante da compagnie di sicurezza privata inglesi operanti al largo del Corno d’Africa per proteggere il naviglio mercantile dagli attacchi dei pirati.

Aziende e personale di sicurezza privata hanno quindi rivestito un ruolo limitato e tuttavia rilevante nella gestione della crisi migratoria, esasperando alcuni dei dilemmi e delle contraddizioni derivanti dalla necessità di coniugare operazioni di ricerca e soccorso in mare, contrasto ai trafficanti di uomini e riduzione dei flussi migratori verso l’Italia.

Come già osservato da diversi accademici, la complessità delle crisi umanitarie odierne ha inevitabilmente costretto diverse ONG ad avvalersi della collaborazione di aziende di sicurezza privata. Il coinvolgimento di alcune PSCs nelle operazioni umanitarie al largo della Libia è quindi parte di un fenomeno più ampio. Tuttavia, in mare più ancora che a terra, la collaborazione tra ONG e PSCs resta problematica, mettendo a nudo la crescente erosione dello spazio umanitario e la tensione tra protezione dei confini – che sta alla base della sicurezza nazionale – e sicurezza umana.

Per saperne di più:

Cusumano, E. (2017) “The Sea as humanitarian space. Non-governmental Search and Rescue dilemmas on the Central Mediterranean migratory route”, Mediterranean Politics. Disponibile su: http://dx.doi.org/10.1080/13629395.2017.1302223

Mazza, V. (2017) “Il re della guerra privata «In Libia contractor per fermare i migranti»”, Corriere della Sera, 23 novembre 2017. Disponibile su: http://www.corriere.it/esteri/17_novembre_24/re-guerra-privatae-suo-piano-la-libia-0d5f8d1c-d08a-11e7-90be-0a385e484c27.shtml

Gammeltoft-Hansen, T. (2015) “Private security and the migration control industry” in: Abrahamsen, R. e Leander, A. (ed.) Routledge Handbook of Private security Studies, pp. 207-216. London: Routledge.

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