La variabile cinese nella trasformazione economica birmana

Il nuovo governo del Myanmar, guidato per la prima volta dalla Lega Nazionale per la Democrazia di Aung San Suu Kyi, si trova ad affrontare importanti sfide non solo economiche (il 25 per cento della popolazione vive al di sotto della soglia di povertà) ma anche politiche, poiché vasti territori e regioni di confine, come evidenziato in questo numero di RISE, non sono controllati dal governo centrale. Le esportazioni di risorse naturali (petrolio e gas naturali, legname e pietre preziose) hanno fornito al Paese ingenti guadagni, ma il 60 per cento della popolazione vive ancora di agricoltura. La possibilità di crescita e il futuro del Myanmar dipenderanno dalla capacità del governo di trasformare l’economia rendendola più produttiva, e aumentando i posti di lavoro nei settori industriale e terziario.

In questo delicato contesto sociale e politico si situa la complessa relazione con la Cina. L’interruzione dei lavori di costruzione della diga di Myitsone, nello stato birmano del Kachin al confine con la Cina, ha rappresentato un momento particolarmente burrascoso. Nel 2011, l’allora presidente birmano Thein Sein sospese il progetto del valore di 3,6 miliardi di dollari, gestito dalla China Power Investment Corporation. L’improvvisa sospensione ha raffreddato le relazioni tra Pechino e Naypyidaw. Se a ciò si aggiunge che la Cina è il principale acquirente della giada estratta in grandi quantità, e spesso in maniera poco trasparente, nelle zone di confine del Myanmar, si comprende come il ruolo della Cina nei grandi progetti infrastrutturali come Myitsone e nel settore estrattivo, costituisca una latente fonte di tensione nei rapporti tra i due Paesi. Nonostante ciò gli scambi diplomatici e commerciali tra Myanmar e Cina rimangono fitti. Aung San Suu Kyi si è recata a Pechino prima nel 2015, e poi nell’agosto 2016 in uno dei suoi primi viaggi ufficiali da Consigliere di Stato. Il Ministro degli Affari Esteri cinese Wang Yi nell’aprile 2016 è stato il primo diplomatico straniero a visitare il Myanmar dopo la vittoria elettorale della Lega Nazionale per la Democrazia.

Il Ministro degli Esteri cinese Wang Yi con Aung San Suu Kyi durante una conferenza stampa congiunta in seguito al loro incontro, 5 aprile 2016, Naypyidaw (Immagine: www.news.cn)

I rapporti economici tra i due Paesi non si basano tuttavia solo sullo sfruttamento delle risorse naturali e sulle infrastrutture. La Cina è infatti anche uno dei maggiori investitori in Myanmar, in particolare nel settore manifatturiero. La domanda principale è se questi investimenti apportino benefici alla popolazione birmana. La ricerca su investimenti diretti esteri e trasformazione economica in Myanmar condotta da ricercatori dell’Overseas Development Institute di Londra e dell’Università Tsinghua di Pechino nell’ambito del programma Supporting Economic Transformation (SET) ha esplorato il ruolo degli investimenti cinesi nel promuovere la trasformazione economica in Myanmar. Conducendo interviste con imprenditori, esperti e con il governo birmano, l’obiettivo era verificare che gli investimenti esteri (cinesi e non) creassero occupazione, accrescessero la produzione e stimolassero le esportazioni. Lo studio si è concentrato su quattro settori, tra cui il tessile. Il Myanmar esporta abbigliamento verso i mercati asiatici, europei e statunitensi. Le esportazioni sono cresciute considerevolmente da quando l’Europa e gli Stati Uniti hanno eliminato le sanzioni economiche (imposte da decenni contro la giunta militare) rispettivamente nel 2012 e 2016. Alle imprese birmane mancano il capitale e i network internazionali per accedere al mercato globale, e l’abbigliamento destinato all’esportazione viene prodotto quasi esclusivamente dalle imprese straniere.

In Myanmar, gli investimenti diretti esteri (IDE) nel settore tessile sono ingenti: tra il 2005 e il 2015 i dati forniti dal governo birmano mostrano 166 progetti per un totale di oltre 400 milioni di dollari. Nel 2015, più della metà delle imprese tessili in Myanmar era straniera o aveva qualche forma di partecipazione straniera. La Cina è tra i principali investitori in questo settore (con il 25% degli investimenti stranieri), seconda solo alla Corea del Sud (29%) e seguita da Hong Kong (17%). Queste percentuali sono probabilmente sottostimate. È infatti comune per le compagnie cinesi registrarsi in Myanmar come compagnie birmane, associandosi a imprenditori locali, o di altri Paesi, per evitare complicazioni burocratiche. È interessante notare come molti di questi investimenti cinesi siano guidati e incoraggiati dalle multinazionali europee e statunitensi. I giganti occidentali del tessile, tra cui H&M, The Gap, Marks & Spencer e Primark, lavorano infatti a stretto contatto con fabbriche basate in Cina. L’aumento dei salari in Cina sta spingendo queste multinazionali a guardare con interesse a Paesi dove il costo del lavoro è più basso, come il Myanmar. Le grandi imprese di abbigliamento invitano i loro partner cinesi a investire nei nuovi mercati per contenere i costi e diversificare il rischio.

Il settore tessile birmano impiega più di 200 mila persone, di cui un quarto lavora per imprese cinesi o di Hong Kong. Il ricambio del personale è molto elevato, ma ricerche condotte recentemente sulle imprese esportatrici (che sono quasi sempre straniere, come discusso in precedenza) dimostrano che queste hanno molto spesso ricambio minore e offrono condizioni di lavoro migliori. Sia le imprese domestiche sia quelle straniere però affrontano grandi problemi. In Myanmar, oltre alle carenze in termini di infrastrutture, manca anche una forza lavoro con competenze tecniche e manageriali per gestire imprese di medie o grandi dimensioni. Questo spinge gli imprenditori stranieri a importare tecnici e manager esperti dall’estero.

Lo scopo della ricerca condotta nell’ambito del programma SET è stato identificare gli effetti degli investimenti cinesi sull’economia del Myanmar. Per il momento i benefici di questi investimenti sono limitati alle esportazioni e alla creazione di opportunità di lavoro per la manodopera birmana. Potenzialmente però i vantaggi potrebbero essere di gran lunga maggiori. Il Myanmar ha la possibilità non solo di attrarre ulteriori investimenti, ma anche di sviluppare industrie a monte e a valle della filiera tessile. Un altro potenziale beneficio è rappresentato dalla creazione di una classe di lavoratori, tecnici e manager con competenze nel campo tessile, che potrebbero fare del Myanmar un centro di eccellenza nella produzione di abbigliamento considerando che al momento le imprese straniere lamentano una carenza di personale competente. Spetta al governo birmano provvedere alla creazione di centri di formazione tecnica orientati al settore del tessile, del design e della moda. Altri paesi, come il Bangladesh, hanno seguito questa strada con successo. Una volta create queste competenze, il governo dovrà anche incentivare coloro che imparano il mestiere a lavorare nelle fabbriche birmane, o dare loro la possibilità di avviare proprie attività.

Considerato l’importante ruolo che le grandi marche di abbigliamento giocano nel determinare gli investimenti in questo settore, il governo può anche far leva su queste aziende per assicurarsi che il Myanmar rimanga un importante centro di produzione tessile al di là del mero sfruttamento dei bassi costi di produzione, e che garantisca buone condizioni lavorative alla manodopera, in cambio di un costante impegno alla formazione della forza lavoro.

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