[LA RECENSIONE] The internet in China

Gianluigi Negro, The internet in China: from infrastructure to a nascent civil society
(Cham: Palgrave Macmillan, 2017)

In questa rubrica, OrizzonteCina ha sempre recensito testi in lingua italiana, con l’eccezione di Country Driving: a Chinese Road Trip di Peter Hessler, The Chinese Economy: Recent Trends and Policy Issues a cura di Gomel et al., e A Journey to the West: Observations on the Chinese Migration to Italy di Valentina Pedone, libri dai quali fummo a suo tempo particolarmente colpiti. Ora compiamo la quarta eccezione per segnalare la ricerca di uno studioso italiano, espatriato (ma non troppo) all’Università di Lugano, dove da alcuni anni lavora sui temi della comunicazione e dei media in Cina. The Internet in China è il frutto delle approfondite analisi di Gianluigi Negro sul complesso fenomeno della rete in un Paese autoritario e tecnologicamente avanzato quale la Repubblica Popolare Cinese. Come viene ricordato nella prefazione, dopo avere conseguito la laurea all’Università Ca’ Foscari di Venezia, l’autore si specializza in scienze della comunicazione alla “Scuola di Lugano”, caratterizzata da un approccio “multifocale” all’interpretazione della realtà sociale che utilizza allo stesso tempo strumenti politico-economici, sociologici e culturali.

Ne risulta un testo complesso, ricchissimo di dettagli, incentrato sulle infrastrutture materiali e immateriali di un mondo che conta oggi in Cina almeno 731 milioni di internauti, e che rappresentava nel 2012 (secondo Boston Consulting Group) il terzo mercato internet più lucrativo al mondo, contando quasi per il 6% del Prodotto interno lordo (Pil) – per farsi un’idea, il dato riferito agli Stati Uniti era del 4,9%, mentre nell’Unione Europea il contributo dell’economia digitale al Pil era del 3,9%. Già la sola ampiezza del mercato giustifica la necessità di conoscere in maniera adeguata il quadro di internet in Cina. Inoltre, la tensione tra un servizio per sua natura aperto, inclusivo, globale, e uno Stato-Partito difensore del monopolio del potere e profondamente geloso della sovranità nazionale crea dinamiche assai interessanti per l’analisi accademica.

Fin dal 1994 il governo cinese si era accorto dei potenziali rischi per la stabilità sociale derivanti da un libero utilizzo di Internet, e aveva scelto di regolamentarlo, accettandone e promuovendone la funzione economica in una Cina in pieno sviluppo, incamminata verso l’ingresso nell’Organizzazione mondiale per il commercio. La dialettica tra rischio politico (in cima alle preoccupazioni del Dipartimento della propaganda del Partito) e opportunità economica (perseguita dal Consiglio per gli Affari di Stato) a volte sfocia, soprattutto sotto la premiership di Zhu Rongji, in aperto contrasto tra diverse autorità, riflettendo la struttura duale del potere in Cina. Negro ricostruisce puntigliosamente l’architettura istituzionale (nazionale e decentrata) dell’amministrazione di Internet, giungendo all’era di Xi Jinping, in cui il Presidente dirige il Cyberspace Affair Leading Group (CALG), con ampi poteri di controllo sull’intero settore online. Su un piano storico-culturale il dibattito all’interno della leadership sulla necessità di regolamentare Internet – che avrebbe portato alla creazione dell’infrastruttura censoria nota come “Great Firewall of China” – viene fatto risalire al concetto di Lìquán (利权), dove “Lì” 利 significa “benefici, risorse”, e “Quán” 权 “diritti, potere e controllo”, e ricorda una discussione simile all’epoca dell’introduzione del telegrafo, nel 1865.

Il secondo pilastro nel testo è rappresentato dalla questione della società civile in Cina: esiste? Come si evolve grazie alla rete? L’autore cerca di dare una risposta osservando empiricamente, anche grazie a una lunga serie di interviste agli addetti ai lavori, condotte a Pechino, le tre fasi dello sviluppo digitale in Cina, dai primi blog (2003-2008) ai tempi d’oro del microblogging di Sina Weibo, l’equivalente dell’occidentale Twitter (2008/2011), fino agli anni della sofisticata tecnologia di WeChat (Wēixìn,微信), paragonabile al nostro Whatsapp (2013-2017). Mentre qualche anno fa su questa rubrica recensivamo l’ottimismo di Germogli di società civile in Cina (a cura di Renzo Cavalieri e Ivan Franceschini), la conclusione a cui giunge l’autore è più realista: “quando possiamo parlare di società civile in Cina, sarebbe più appropriato chiamarla una sfera pubblica” (p. 111). Si potrebbe dire che il governo ha vinto la sfida di mantenere il controllo della rete facendone allo stesso tempo una forza trainante per l’economia (p. 116). Non solo tre delle prime dieci aziende Internet a livello mondiale sono cinesi, ma i nuovi spazi, seppure controllati, di espressione online hanno generato un’ondata di “citizen journalism” che funziona sia come valvola di sfogo, sia come monitoraggio preventivo degli umori della società, per governarla in maniera più efficace ed efficiente, in linea con il potere tecnocratico che si è affermato in Cina negli ultimi decenni. Peraltro, anche in questo caso l’ampiezza degli spazi di libertà si è andata restringendo negli anni, dalla “guida dell’opinione pubblica” (yúlùn dǎoxiàng, 舆论导向) di Jiang Zemin alla necessità di “incanalare l’opinione pubblica” (yúlùn yǐndǎo, 舆论引导) propugnata da Hu Jintao, fino alla più militante “lotta con l’opinione pubblica” (yúlùn dòuzhēng, 舆论斗争) sostenuta da Xi Jinping. Tuttavia Internet è un animale sfuggente, mutante, e ogni azione di controllo genera una reazione creativa per sfuggire alle maglie della censura: Negro ricorda ad esempio il fenomeno degli È’gǎo (恶搞) , parodie che sfruttano la tecnologia applicata all’arte visiva per prendere in giro l’ossessione propagandistica del Partito-Stato. In questo senso l’autore definisce “co-evolutivo” il processo di sviluppo della sfera pubblica online: autori e recettori del messaggio interagiscono bidirezionalmente, ottenendo spesso risultati diversi da quelli previsti all’origine.

Il libro – una vera miniera di dati e informazioni – si chiude con molti spunti per ricerche future, gravitanti tutti attorno al ruolo dello Stato, oggi presente con propri funzionari nelle discussioni online – ricerche che hanno rilievo anche per l’Occidente, che (a causa del dilagare delle fake news e dell’hate speech) si interroga sui deleteri effetti sociali della libertà di espressione assoluta in rete. Riusciranno campioni globali cinesi come WeChat ad affermarsi nelle democrazie avanzate, conciliando sicurezza con privacy e libertà? Attendiamo il prossimo libro di Gianluigi Negro – magari in italiano, e in una forma più snella per raggiungere un pubblico più vasto – per rispondere a questa e ad altre domande, così cruciali per affrontare e gestire il futuro potere tecnologico che ci attende.

I libri recensiti in questa rubrica possono essere acquistati presso la Libreria Bodoni di via Carlo Alberto, 41, Torino.

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