Cina – Il Mediterraneo nelle nuove Vie della Seta

Osservatorio di Politica Internazionale del Parlamento italiano - Approfondimento n. 132 (Maggio 2017)

Approfondimento del Torino World Affairs Institute (T.wai) per l’Osservatorio di politica internazionale del Parlamento italiano.

Pubblicato sul sito del Parlamento italiano l’approfondimento n. 132 – Maggio 2017 dal titolo “Cina – Il Mediterraneo nelle nuove Vie della Seta” a cura di Andrea Ghiselli e Enrico Fardella.

EXECUTIVE SUMMARY

La “Belt and Road Initiative” (BRI) o “One Belt One Road” (OBOR) è l’ambizioso progetto di politica industriale e finanziaria transnazionale presentato da Xi Jinping, Presidente della Repubblica Popolare Cinese e Segretario generale del Partito Comunista Cinese, nell’autunno del 2013. Principalmente rivolto al continente eurasiatico, esso coinvolge ufficialmente 65 paesi (Cina compresa) nei quali si concentrano quasi il 30% della ricchezza e oltre il 60% della popolazione mondiale. Tra questi figurano 9 membri dell’Unione Europea: Croazia, Repubblica Ceca, Estonia, Ungheria, Lettonia, Lituania, Polonia, Romania, Slovenia. La BRI è tuttavia ormai la cornice entro la quale agenzie governative, imprese (di Stato e non) e centri di ricerca cinesi interagiscono tra loro nel coltivare relazioni in una varietà di campi anche con paesi non ufficialmente parte dell’iniziativa, Italia inclusa. Sebbene la BRI venga presentata come un progetto internazionale, per comprenderne appieno le finalità è necessario contestualizzarla rispetto alle logiche della politica interna del paese, seguendo una traiettoria che dall’interno muove verso l’esterno. La BRI si presenta così, anzitutto, come vettore di una più ampia strategia volta alla realizzazione del “Sogno Cinese” (zhongguo meng 中国梦), ossia il rinascimento della nazione cinese attraverso lo sviluppo di una società “moderatamente prospera” entro il 2021 – centenario della costituzione del Partito Comunista Cinese (RPC) – e la costruzione di un paese “forte e ricco” entro il 2049 – centenario della fondazione della Repubblica Popolare Cinese. Per raggiungere questi ambiziosi traguardi, Pechino punta su due strumenti: il piano “Made in China 2025”, per rendere la Cina leader globale nello smart manufacturing, e – appunto – la BRI, per riorganizzare il controllo delle supply chains globali in funzione degli interessi di Pechino. Anche se gli elementi che la compongono riprendono politiche e idee precedenti, la Belt and Road Initiative rappresenta il primo vero tentativo da parte cinese di concepire organicamente un disegno di integrazione dell’ordine globale in chiave sino-centrica. Pur essendo presentata come una “piattaforma” aperta e partecipativa, è evidente che la BRI riserva infatti alla Cina quantomeno un ruolo di primus inter pares. In questo disegno, la maggiore connettività nel continente eurasiatico dovrebbe essere favorita da una riorganizzazione della “Going out strategy” cinese, ossia della proiezione economico-finanziaria della Cina verso l’esterno lungo alcune specifiche direttrici: la “Belt”, costituita da sei corridoi terrestri che, partendo dalla Cina, attraversano l’Asia centrale per raggiungere il cuore dell’Europa, e la “Road”, la rotta marittima che collega gli hub portuali cinesi con l’Oceano Indiano e il Mediterraneo, passando attraverso gli stretti di Malacca e di Suez. In termini di volumi, la componente marittima – con le relative infrastrutture logistiche – risulta più rilevante all’interno del progetto rispetto ai corridoi continentali, imperniati sullo sviluppo dei collegamenti ferroviari. In questa cornice il Mediterraneo, in quanto punto di approdo della “Road”, acquisisce nuova salienza strategica. A ciò si accompagnano l’approfondirsi dell’interdipendenza tra la Cina e i paesi produttori di idrocarburi della regione e la crescita degli investimenti cinesi in infrastrutture e zone economiche speciali, dinamiche che generano evidenti implicazioni di sicurezza, sollecitando una crescente proiezione militare della RPC tra Medio Oriente e Africa settentrionale. Nonostante ciò, occorre rilevare come in Cina manchi tuttora un’adeguata conoscenza del 6 Mediterraneo: i paesi che vi si affacciano rientrano nella giurisdizione di due diversi dipartimenti del Ministero degli Esteri, circostanza che non favorisce una visione organica della regione, e gli studi di area negli ultimi decenni si sono sviluppati poco.

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