La crescente presenza cinese nel Pacifico e la reazione locale

La crescita della Cina è diventata un fenomeno di primaria importanza per le relazioni internazionali. Negli ultimi anni Pechino ha compiuto uno sforzo enorme per accrescere la propria influenza all’estero e la regione del Pacifico, composta da quattordici stati sovrani insulari, non fa eccezione. Dal 2006, infatti, la presenza della Cina è divenuta più visibile e, oltre alle sempre più frequenti visite diplomatiche di alto livello, sono cresciuti rapidamente gli aiuti e gli investimenti provenienti dalla Cina.

Lavoratori cinesi in un mercato locale a Basamuk nella provincia di Madang in Papua Nuova Guinea. Immagine: gentile concessione di Shaun Gessler.

Papua Nuova Guinea è il Paese più grande e più popoloso della regione e il partner principale di Pechino nel Pacifico. Il governo cinese ha dato grande importanza alla regione nell’ultimo decennio: nell’aprile 2006 il premier cinese Wen Jiabao ha visitato le Fiji, segnando la prima visita di un premier cinese nella storia del Paese, dove ha inaugurato il China-Pacific Islands Countries Economic Development and Cooperation Forum. La misura più rilevante promessa da Wen Jiabao in quell’occasione fu un prestito agevolato da 643,1 milioni di dollari. Durante il secondo Forum, tenutosi a Guangzhou nel novembre 2013, la Cina si è impegnata a garantire un altro miliardo di dollari in prestiti agevolati ai Paesi del Pacifico nei quattro anni successivi.

Un anno più tardi Xi Jinping ha effettuato la sua prima visita ufficiale nella regione in qualità di Presidente annunciando di voler elevare i rapporti a relazione strategica di mutuo rispetto e sviluppo comune. Nell’occasione Xi ha promesso duemila borse di studio e cinquemila programmi formativi brevi entro cinque anni, oltre a invitare i Paesi del Pacifico a partecipare all’Iniziativa “Belt & Road” (BRI).

Papua Nuova Guinea, insieme alle Fiji, è il partner principale di Pechino nella regione. Sotto il profilo politico i due stati dall’avvio di formali relazioni diplomatiche nell’ottobre del 1976 hanno mantenuto frequenti visite di alto livello e Papua Nuova Guinea non si è discostata dal sostegno alla politica di “una sola Cina” nonostante la crisi diplomatica esplosa nel luglio 1999 allorché il governo del Primo Ministro Bill Skate firmò un accordo con Taiwan che prevedeva l’istituzione di relazioni diplomatiche in cambio di 2,35 miliardi in prestiti e sovvenzioni. Il documento fu tuttavia annullato in seguito alle dimissioni di Bill Skate, rassegnate due settimane più tardi. Dal punto di vista economico, Papua Nuova Guinea nel 2016 si è attestata come secondo cliente e primo fornitore della Cina nel Pacifico con un volume di importazioni ed esportazioni pari rispettivamente a 670 e 1661 milioni di dollari. Il Paese è inoltre una destinazione importante degli aiuti cinesi che si concretizzano attraverso prestiti agevolati volti a finanziare progetti quali lo sviluppo stradale a Port Moresby o sistemi informativi integrati per il governo e la costruzione del dormitorio dell’Università di Goroka. La Cina ha anche donato a Papua Nuova Guinea 133 veicoli Foton come sostegno logistico per le elezioni nazionali del 2017 e fornito assistenza nella preparazione del prossimo Summit APEC, che si terrà a Port Moresby a metà novembre 2018, tramite la costruzione del centro congressi che costituirà la sede del summit. Quest’ultimo rappresenta il più grande progetto di sviluppo della Cina nella regione.

Tuttavia, la reazione a Papua Nuova Guinea di fronte alla crescente presenza cinese nel Paese e nella regione non è omogenea. In generale il governo reagisce positivamente e ha dimostrato interesse a cavalcare la crescita dell’economia cinese. Tra i quattordici stati indipendenti del Pacifico Papua è l’unico a vantare un surplus commerciale con la Cina, in parte grazie all’avvio a fine 2014 di esportazioni di gas naturale liquefatto. Oltre una dozzina di aziende di stato cinesi ha aperto una sede nel Paese alla ricerca di opportunità commerciali e in alcuni casi focalizzandosi sull’industria estrattiva. La miniera di nickel di Ramu, nella provincia di Madang, rappresenta un investimento da 1,4 miliardi di dollari, a oggi il maggiore da parte della Cina nella regione. Il governo di Papua Nuova Guinea ha mostrato un forte interesse a sostenere il proprio sviluppo economico e migliorare le proprie infrastrutture con il supporto di fondi cinesi. Il Primo Ministro Peter O’Neil, ad esempio, nonostante gli alti e bassi della fase preparatoria del progetto, nel novembre del 2015 ha tagliato il nastro per l’inaugurazione della zona marittima industriale del Pacifico, progetto finanziato grazie a un prestito agevolato cinese da 95 milioni di dollari con cui il governo mira a trasformare la città di Madang in un nuovo centro mondiale per la pesca di tonno.

Durante la visita del Primo Ministro O’Neil in Cina nel luglio 2016 i due governi hanno rilasciato un comunicato congiunto tramite cui si sono impegnati a raggiungere una cooperazione win-win grazie alla sinergia tra il 13° Piano Quinquennale di Sviluppo e la BRI cinesi, da un lato, e il Piano Strategico di Sviluppo 2010-2030 di Papua Nuova Guinea dall’altro. I due governi hanno altresì concordato di effettuare uno studio di fattibilità di un trattato bilaterale di libero scambio. Legami economici più stretti hanno rafforzato il sostegno di Papua Nuova Guinea a Pechino sia su questioni globali come la riforma del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, sia regionali come le dispute territoriali con alcuni stati del Sud-est asiatico nel Mar Cinese Meridionale. Il successo economico e il modello di sviluppo della Cina hanno avuto un impatto sul governo di Papua fornendo, in una certa misura, una nuova opzione e una leva per attrarre più aiuti dai donatori tradizionali.

I crescenti aiuti concessi da Pechino, incluse le borse di studio e i corsi di formazione, sono stati accolti con favore. Fino al 2016 circa 300 studenti papuani (35 solo nel 2016) hanno studiato nelle università cinesi grazie alle borse di studio e una recente indagine condotta tra luglio e agosto 2017 sui beneficiari nella regione del Pacifico (in gran parte papuani) ha mostrato che la maggioranza ha un’opinione positiva del programma con l’87,5% del campione convinto che tali borse avranno un impatto positivo sulla loro carriera.

Per contro, alcuni funzionari, accademici e gruppi della società civile di Papua nutrono delle riserve. Le preoccupazioni riguardano questioni come la crescita del debito associata ai prestiti cinesi, un impiego inadeguato di manodopera locale nei progetti di aiuto cinesi, l’utilizzo di materiali cinesi pari almeno al 50% del totale, la mancanza di coordinamento tra Pechino e gli altri donatori, e la bassa qualità di alcuni progetti d’aiuto. Ad esempio, l’Australian Broadcasting Corporation ha riportato lo scorso febbraio che il costo del servizio sul debito nei confronti della Cina per Papua è cresciuto oltre dieci volte negli ultimi cinque anni. Inoltre, la rapida espansione di piccole attività imprenditoriali cinesi nel Pacifico, unita alla complessità locale, le ha rese bersaglio di proteste in Paesi come Papua Nuova Guinea, Tonga o le Isole Salomone. Guardando al futuro prossimo si può prevedere che Pechino continuerà ad accrescere le proprie relazioni diplomatiche ed economiche nella regione. Ciò senza dubbio rafforzerà l’influenza cinese, ma fino a che punto può essere oggetto di dibattito. Allo stesso tempo, tuttavia, i suddetti timori persisteranno e cresceranno, richiedendo più attenzione da parte dei governi da ambo le parti. Più trasparenza, coordinamento e coinvolgimento di un più ampio spettro di stakeholders nelle relazioni Cina-Pacifico potrebbero ridurre tali preoccupazioni.

Traduzione dall’inglese a cura di Gabriele Giovannini

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